Per uno sguardo decoloniale sul franco CFA
Disegno di Yapsy sul perpetuarsi della dipendenza post-coloniale delle ex colonie francesi in Africa: "Il 7 agosto 1960 dichiaro solennemente che siete indipendenti !!!"
La moneta dei PMA
In seguita alla polemica Italo-Francese sulle due unioni monetarie del franco CFA in Africa subsahariana, scaturita il 20 gennaio 2019 dall’attivista grillino Alessandro Di Battista che ha strappato una banconota, facsimile di 10,000 franchi CFA, davanti al conduttore perplesso Fabio Fazio in diretta TV,[i] sui social gli Africani senza distinzioni ringraziarono ardentemente Di Battista per il suo gesto ai loro occhi eroico, gesto che riecheggia la banconota CFA bruciata a Dakar dall’attivista panafricanista Kemi Seba, che gli costo l’espulsione immediata dal Senegal nel 2017. Kemi Seba è stato vittima di un ulteriore arresto e espulsione il 26 marzo 2019 da Abidjan, Costa d’Avorio verso il Benin, solo per aver voluto dibattere pacificamente sulla moneta CFA.[ii]
L'acronimo CFA fa riferimento a due attuali unioni monetarie e economiche nell'Africa occidentale e centrale: il franco dell'Africa occidentale riunisce gli otto membri dell'Unione economica e monetaria dell'Africa occidentale (UEMOA) - Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo; il franco centro africano comprende i sei membri della Comunità economica e monetaria dell'Africa centrale (CEMAC) - Camerun, Repubblica centrafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Guinea equatoriale e Ciad. L’area ha oggi una popolazione totale di oltre 162 milioni di abitanti distribuiti in quattordici paesi.[iii]
Alla sua creazione nel 1939, l'acronimo CFA significava il franco francese delle colonie africane - oggi, designa il franco della comunità finanziaria africana per i paesi dell'UEMOA e il franco della cooperazione finanziaria in Africa centrale per i paesi della CEMAC.
Di quali criteri tener conto per valutare se una moneta funzioni per l’economia complessiva di un paese o un’area monetaria come quelle del franco CFA? Spesso i giornali Italiani commentando l’attualità parlano solo di stabilità del CFA, analizzando l’andamento del PIL.
“Il PIL può aumentare e la maggior parte dei cittadini potrebbe comunque stare peggio,” ci ricorda il premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz in L'euro e la sua minaccia per il futuro dell'Europa.[iv] Nel 2018 l'Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite segnala il Niger, paese del UEMOA, come il paese più povero al mondo, 189 su 189 paesi. L'elenco mostra che tutti i 14 paesi dell’area CFA sono tra i paesi più poveri del mondo[v]; per l’area CFA il PIL reale pro capite è di un terzo o inferiore rispetto alla fine degli anni 1970 ; sui 47 paesi che fanno parte della comunità dei paesi meno sviluppati al mondo da quando la categoria è nata nel 1971, nove dei quattordici paesi dell’area CFA ne sono membri oggi, (la Guinea Equatoriale è uscita solo nel 2017) incitando alcuni a chiamarla la moneta dei PMA, dall’acronimo francese pays les moins avancés (paesi meno sviluppati).
Il modello d’integrazione verticale del franco CFA, eredità della colonizzazione, è rimasto uguale da quando è nato nel dicembre del 1945: i paesi africani rimangono produttori di materie prime non trasformate e commerciano più con l'Europa che tra loro. Un modello economico estroverso non propizio allo sviluppo di un'economia endogena.
Sono le caratteristiche principali del CFA (la parità fissa, la garanzia di convertibilità e la libera circolazione di capitali) che lo rendono un veicolo per l’accumulazione delle ricchezze all’estero, ci spiega l’ex Ministro ed economista Togolese Kako Nubukpo, che di recente ha tenuto il 17 febbraio 2019 a Bamako, in Mali, la prima conferenza degli stati generali sul CFA, che ha visto unirsi un folto gruppo di economisti per escogitare scenari per un nuovo assetto monetario per l’area.
Il 21 gennaio 2019, il Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, capo politico del M5S Luigi Di Maio insiste: “Io non credo che sia un caso diplomatico, io credo che sia tutto vero" (…) Se l'Europa in questo momento vuole avere un po' di coraggio, deve avere la forza di affrontare il tema della decolonizzazione. Bisogna decolonizzare l'Africa e anche l'Unione Europea deve occuparsi di questo tema. Guardiamo in faccia anche le cause, non solo gli effetti dell'emigrazione. Ci sono autorevoli economisti di tutto il mondo che ne parlano, noi abbiamo solo acceso il faro su una verità.[vi]
Gli economisti Africani che si sono soffermati a studiare questo sistema monetario sono tanti, fra cui: Samir Amin, Mamadou Diarra, Joseph Tchundjang Pouemi, Mamadou Koulibaly, Moustafa Kasse, Sanou Mbaye, Nicolas Aghohou, Demba Moussa Dembelé, Séraphine Prao Yao, Yacouba Fassassi, Ndongo Samba Sylla, Marital Ze Belinga o Kako Nubukpo.
Roberto Bongiorni sul Sole 24 ore in Franco CFA, i legami controversi tra Parigi e le ex colonie del 22 gennaio 2019 chiama Di Maio “presuntuoso” per aver sollevato un dibattito cosi importante per generazioni intere di studiosi e politici Africani, eppure io trovo scandaloso che Bongiorni confonde il Congo Kinshasa (che non fa parte dell’area CFA) con il Congo Brazzaville, nelle mappe che accompagnano il suo articolo sul franco CFA! Molti giornali Italiani, oltre a parlare ad nauseam di una stabilità[vii] del franco CFA, spesso pongono l’accento sull’opportunismo elettorale del M5S, senza specificare chi in Europa potrebbe suffragare posizioni anticolonialiste, e senza sentire neanche uno degli economisti Africani specialisti in materia.
Tutti gli studiosi menzionati in alto e altri ancora mettono in causa le regole stesse che gestiscono l’area CFA, area ormai sottoposta a quello che l’economista Marital Ze Belinga chiama una colonialité à double verrou, (colonialità a doppia serratura),[viii] sia francese che Europea, via una decisione del Consiglio Europea del 1998 che ha ancorato il franco CFA a l’Euro, adottata dal Parlamento Europeo del 1999.
Ne nel 1998, ne nel lontano 1944 alla Conferenza di Brazzaville voluta da Charles De Gaulle per stabilire l’assetto economico della metropoli riguardante le sue colonie, furono presenti rappresentanti Africani. Eppure un colloquio del 1998 organizzato a Dakar, Senegal dal centro studi Codesiria (Consiglio per lo sviluppo della ricerca sulle scienze sociali in Africa) ha visto più di 200 economisti Africani pronunciarsi contro un cambio fisso e non aggiustabile del CFA con l’Euro.
Roberto Bongiorni scrive sul Sole 24 ore il 22 gennaio 2019 “chi perde nel sistema CFA sono i produttori Africani”, dunque il tessuto stesso dell’economia Africana. L’economista della Bocconi Massimo Amato non è meno critico: “Il franco CFA condanna l’Africa a essere puramente esportatrice di materie prime e a non avere, ad esempio, nemmeno un’industria di trasformazione agricola, con tutti i benefici di stabilizzazione dei prezzi agricoli interni e di aumento dell’occupazione manifatturiera che ciò comporterebbe.” [ix]
Alcuni giornalisti ammettono gli interventi militari francesi sul continente, anche se non focalizzano l’attenzione sul blocco dei processi democratici che spesso questi interventi causano e ne sottostimano la frequenza: sono più di 150 solo in Africa sub-sahariana dal 1945 ad oggi.[x] Un numero alto che richiede inchieste parlamentari urgenti sia nazionali sia europee.
Porre questa ingerenza anacronistica e colonialista, legata ormai ad azioni Europee comuni (sanzioni, interventi militari, cooperazione, accordi commerciali) al centro dell’analisi sui rapporti con l’Africa è essenziale per stabilire un rapporto leale verso i paesi Africani o prevedere una qualsiasi forma di politica estera comune europea. Le richieste di Di Maio di rendere ufficiali gli accordi di difesa e cooperazione francesi sigillati spesso in segreto con i paesi ex colonie, dovrebbe essere il sine qua non per immaginare una politica europea comune. Le proposte lucide di Di Maio, sanzioni verso i paesi Europei che commettono atti coloniali e un’agenzia che si occupi di anti colonialismo in seno all’Unione Europea, sono celate de un silenzio giornalistico sbalorditivo.
L’attuale Presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara il 15 febbraio 2019 ha chiesto che “si chiuda il falso dibattito sul franco CFA” che ha descritto come "moneta solida", dopo un'audizione con il suo omologo francese, Emmanuel Macron all'Eliseo. Kako Nubukpo gli risponde su RFI (Radio France Internationale)[xi] il 2 marzo 2019 : “il luogo stesso della dichiarazione di Alassane Ouattara, l’Eliseo, è molto simbolico” (…) “il franco CFA protegge i leader africani dai fallimenti della loro governance. Il conto di operazioni al tesoro francese (conto dove si tengono secondo gli accordi con la Francia il 50% delle riserve valutarie di ambedue le aree CFA) è stato inizialmente creato per far fronte agli shock economici esogeni, ma è diventato un'assicurazione contro qualsiasi rischio per i presidenti africani, che non rispondono ai loro cittadini, ma alla Banca Centrale Europea.” Nubukpo cita il caso più salutare di alternanza politica del Ghana, dove una svalutazione grave del 40% della moneta del paese, il cedi, causò la perdita delle elezioni a John Dramani Mahama nel dicembre 2016.
Un retaggio coloniale
Storicamente il franco CFA è la continuazione del franco francese, nato nel 1795 che ha accompagnato la colonizzazione francese nel mondo: in Asia (Laos, Cambogia, Vietnam), Oceania (Polinesia francese, Nuova Caledonia, Nuova Ebridi), nei Caraibi (Santo Domingo, Guadalupe, Martinica, Santa Lucia, Tobago), Guyana in America Latina, il Nord Africa (Algeria, Marocco, Tunisia) e in Africa sub-sahariana.
Il franco francese è stato imposto alle popolazioni locali e le loro valute sono state vietate. Già nel 1830, il re Carlo X aveva coniato una moneta con le parole "colonie francesi". Nel lontano 1895 in Costa d'Avorio le autorità coloniali vietarono l'uso di un braccialetto di bronzo usato come mezzo di scambio.
Demistificando l'idea di una "rivoluzione monetaria" che avrebbe semplicemente sostituito un'economia locale policentrica con un sistema unicentrico, numerosi studi oggi svelano una resistenza tenace da parte delle popolazioni locali alla moneta straniera.
Per il successo dell'apparato coloniale l'incorporazione degli africani nel mondo della tassazione e del lavoro salariato era vitale. Harcourt Fuller della Georgia State University, in un articolo del 2009 sui sistemi monetari in zona sterling della Gold Coast,[xii] l’ex Ghana, parla di “azioni quotidiane quali il continuo uso di monete indigene e straniere, la contraffazione di monete e banconote coloniali, la deturpazione di valuta, la fusione di denaro per fare gioielli e il rifiuto di utilizzare banconote." Félix Iroko ci parla della resistenza in una delle aree dove si usavano i cauris, (si parla anche di una zona cauris, questa conchiglia importata dall'Oceano Indiano), l'attuale Burkina Faso, dove la resistenza alla sostituzione dei cauris con il denaro coloniale è stata lunghissima: “durante gli anni 1970 e 1980, un tasso di cambio nominale di 20 conchiglie a cinque franchi CFA era ancora presente nelle menti locali.”[xiii]
Quali erano le valute locali? Già durante l’impero faraonico del III a.C. si utilizzava un sofisticato sistema monetario; l'economista camerunense Joseph Tchuindjang Pouemi parla di un regime di cambi fluttuanti prima del ventesimo secolo, ricordando che la conversione tra le conchiglie cauris e l'oro era praticata. Altri esempi di monete locali: palle di gomma; barre di ferro e di rame; le conchiglie cauris che si scambiavano già con la valuta prima del franco i tornei di libri; taglio di zinco; articoli di cotone; fili di ottone; perle di vetro e grani di porcellana.
Si trattava principalmente di convertire con la forza le società locali nel sistema capitalista coloniale. Nel 1907 la Francia proibì l'importazione dei cauris e anche il pagamento delle tasse coloniali con questa valuta. Per anni una parte di queste tasse erano spesso ancora pagate con i cauris suscitando l’ira dei colonizzatori. Nel 1925 sarà incluso nel nuovo Code de l'indigénat (codice di giustizia amministrativa che si applicava solo alle persone definite indigene), l'obbligo di utilizzare il franco francese nelle transazioni commerciali sotto pena di punizione.[xiv]
La moneta Africana pre-coloniale aveva lo stesso ruolo di moneta di scambio, o aveva un ruolo più sofisticato, come ad esempio gestire i collegamenti sociali o aiutare alla riconfigurazione delle relazioni sociali, come alcuni antropologi oggi sottolineano? La questione centrale per la reinvenzione e la liberazione delle economie africane passa anche attraverso risposte a queste domande d’identità storica.
A differenza degli altri imperi coloniali - il Regno Unito e la sua area sterlina o il Portogallo e la sua zona di escudo, le cui rispettive valute sono gradualmente scomparse con l'indipendenza, e anche nella gran parte delle ex colonie francesi, dove con l’avvento dell’indipendenza abbandonarono il franco francese, il franco CFA è un'estensione della stessa autorità monetaria che governavano ai tempi del impero.
I quattro handicap
L’economista Ndongo Samba Sylla e la giornalista Fanny Pigeaud in un recente libro, L’arme invisible de la Francafrique, une histoire du franc CFA, elencano quattro handicap maggiori che caratterizzano il franco CFA: un regime di cambio troppo rigido; un ancoraggio problematico all’Euro, un debole finanziamento dell’economia locale; e una libertà totale di trasferimento di capitali che genera colossali perdite finanziarie.”[xv]
Un regime di cambio troppo rigido: secondo l’economista Stiglitz per i paesi che hanno subito la recente crisi economica in Europa, dall’Irlanda, alla Spagna, al Portogallo e la Grecia, il problema fondamentale dell'euro è che “ha tolto il meccanismo di aggiustamento del tasso di cambio e non ha messo altro al suo posto.”[xvi] Questo deficit vale ancor ‘più per l’area CFA che è incline a shock economici esogeni dovuti alla mancanza di diversificazione economica (e dunque alla troppa dipendenza dalla variazione del prezzo di uno o due risorse primarie) alla estesa produzione agricola afflitta da fenomeni climatici e le guerre ricorrenti.
In un’analisi del 2017, Pegged currencies, catalyzer or hindrance to economic development in poor nations: The West African example of the CFA Franc, Franck Ouattara e George M. Lady della Temple University[xvii] hanno studiato l’impatto della valuta a cambio fisso dell’area UEMOA per un arco di tempo lungo, dal 1990 al 2006. Concludono: “Tuttavia abbiamo scoperto che il più grande beneficiario di questa relazione commerciale era l'Unione europea, in quanto l’UEMOA presentava saldi negativi e in declino.”
Essi hanno anche constatato che l’area del franco CFA subiva l’andamento dell’Euro: l’apprezzamento del franco CFA nei confronti del dollaro USA (conseguenza della parità fissa della CFA con l'euro) aumentava automaticamente il disavanzo commerciale. I due studiosi hanno raccomandato una nuova valuta che sostenga meglio le necessità di crescita e sviluppo dell’area.
Secondo dati della Banca Centrale Europea l’Euro si è apprezzato nei confronti del dollaro del 90% dall’ottobre 2000 a metà Luglio 2008, le filiere produttive Africane di materie prime dell’area CFA, come il cotone, quotate in dollari, subirono dunque indirettamente una forte perdita di competitività sul mercato internazionale.
Il direttore per gli affari economici e finanziari della Commissione Europea, Martin Hallet, in un rapporto del 2008, considerando come riferimento la letteratura sulle OCA, optimum currency area (OCA) (area monetaria ottimale, AMO), scrive che per i paesi della zona franc CFA non conviene creare un’area di un’unione monetaria a cambi fissi: “data la loro bassa diversificazione produttiva, la bassa mobilità della manodopera e un debole settore finanziario.”[xviii]
“L'Africa occidentale e l'Africa centrale hanno cicli economici disgiunti: l'Africa occidentale è attualmente al 6% di crescita, l’area CEMAC è cresciuta dello 0%. Non capiamo perché c'è lo stesso tasso di cambio tra i 2 CFA e l'Euro, vuol dire che questo scambio fisso non è una scelta economica, perché se fosse economica avremmo già svalutato il franco CFA dell'Africa centrale”, svela Kako Nubukpo.
Uno dei benefici di un’unione monetaria verte sullo scambio interregionale: per la zona CEMAC il commercio interregionale è al 4% e nella zona UEMOA al 15%. Per fare un confronto in Europa lo scambio interregionale equivale al 60%. La non intercambiabilità dei rispettivi CFA dal 1993 rende l’integrazione monetaria nell’area ancora più problematica.
Sin dalla sua creazione nel 1945 il franco CFA su sopravalutato rispetto al franco francese dell’epoca per recuperare un mercato nelle ex-colonie perso durante la seconda guerra mondiale.
Una valuta forte facilita le importazioni di beni e servizi (al posto di incoraggiarne la produzione locale) e inoltre, per un’area che esporta principalmente materie prime non trasformate, l’ancoraggio ad una moneta forte penalizza le esportazioni rendendole poco competitive sul mercato mondiale.
Uno studio della Deutsche Bank del 2014 citato da Sylla et Pigeaud in L’arme invisible de la francafrique svela che le esportazioni dei paesi europei soffrono la conseguenza di un euro troppo forte: per la Francia lo studio stabilisce che il cambio a 1,24 dollari per un euro era la soglia sopra la quale problemi economici dovuti alla mancata competitività sarebbero nati. Per l’Italia tale soglia fu stabilita a 1,17 dollari per un euro e per la Germania a 1,79 dollari per un euro.[xix] Questo genere di analisi dovrebbe essere allargata a includere l’area CFA per captare meglio i costi e benefici per i paesi Africani nel rimanere nell’unione.
Una gestione dell’area economica CFA ancorata ai cicli economici dell’area Euro[xx]che punta sulla stabilità dei prezzi e una bassa inflazione, ma non tiene conto degli obiettivi di crescita, è ulteriormente penalizzata dalla repressione monetaria che l’austerità impone. Nonostante l’inflazione bassa, i tassi di prestito nell’area sono altissimi, raggiungendo il 12 o 15%. Il rapporto credito / PIL è solo del 25% per i paesi UEMOA e del 13% per i paesi nella zona CEMAC; la media per i paesi dell'Africa sub-sahariana del credito / PIL è il 60%, mentre per l'Africa del Sud è al 100% , per gli USA al 300%.
Il franco CFA è anche strutturalmente costruito per facilitare la fuoruscita di capitale, legalmente via l’uno dei suoi principi, la libertà totale di trasferimento dei capitali: per esempio la Guinea Equatoriale ha una fuoruscita ogni anno di capitale equivalente al 47% del proprio PIL, scrivono Ndongo Sylla et Pigeaud in L’arme invisible de la francafrique.
“La narrativa storica non salva i nomi, ma dà a noi i nomi che ci salvano" scrive Françoise Proust.[xxi] Riattualizzare le tracce storiche che ci hanno lasciato nomi quali Samir Amin, che già parlava di “sviluppo senza crescita” nel lontano 1967 per l’Africa subsahariana, aiuta a posizionare le analisi attuali. Molte figure storiche sono state marginalizzate o addirittura uccise solo perché volevano uscire dal franco CFA: tra i presidenti del periodo dell’indipendenza Sylvanus Olympio, Presidente del Togo, che ha creato all'indipendenza una valuta togolese fu assassinato nel 1963; la Guinea di Sekou Touré- che nelle sue parole ha preferito "la povertà nella libertà, alla ricchezza in schiavitù" si trovò ad affrontare l’operazione prezzemolo lanciata dai francesi in segreto per far fallire la nuova moneta locale; Modibo Keita del Mali, che proponeva delle riforme del assetto CFA, venne isolato e osteggiato. Negli anni 70 del secolo corso vi furono altre richieste di riforme fatte tacere. L’uccisione di Thomas Sankara nel 1987 stroncò di nuovo tentate rotture sane col neo-colonialismo.
Laurent Gbagbo, ultima vittima della françafrique via il colpo di stato franco-onusiano del 2011,[xxii] oggi assolto da tutte le accuse di crimini contro l’umanità dopo otto anni di prigione alla Corte Penale Internazionale, scrisse nel lontano 1978 sulla non indipendenza raggiunta in Africa nel secondo dopoguerra. In Réflexions sur la Conférence de Brazzaville.[xxiii] spinto dal desiderio di demistificare i falsi miti storici sull’Africa, e mostrando i documenti degli archivi storici, svela il crasso colonialismo in vigore all’epoca. Il caso Gbagbo è un cas d’école, un caso da manuale, dello spropositato neocolonialismo del XXI secolo. Ancora oggi Laurent Gbagbo è mantenuto, alcuni scrivono ostaggio del neocolonialismo, in Belgio in condizioni da detenuto, senza suscitare proteste dalla classe politica Europea, mentre lontano, sul continente, cresce il suo esempio di resistente.
“L'ultimo rapporto della Banca di Francia sulla zona del franco CFA parla di un tasso di inflazione di 0,6%, è la deflazione. L’obiettivo ritenuto dalle rispettive due banche centrali è il 2-3% di inflazione. La deflazione significa che le persone sono molto povere, che non consumano, i prezzi crollano, la disoccupazione aumenta ... l’indice di sviluppo umano lo mostra, non la stabilità dei prezzi,” dice Kako Nabukpo su RFI.[xxiv]
Solo per le proposte di riformare le regole dell’area CFA Nubukpo ha perso il lavoro sia come Ministro della Pianificazione in Togo che alla Organizzazione internazionale della Francofonia. Di recente è stato minacciato dalla filiale locale della Banca centrale dell’Africa occidentale (BECEAO) contro la quale si è sentito costretto a prendere disposizioni legali. Ma Nubukpo conferma che continuerà la lotta per una sovranità totale dell’Africa che i padri fondatori dell’indipendenza Africana accarezzavano.
Il grido dei giovani Africani che manifestano nelle capitali subsahariane dell’area franc CFA e le raccomandazioni dei numerosi esperti per un’uscita urgente da questo retaggio coloniale non sono accolti sulla sponda sorda Europea. Di fronte a tale ipocrisia, anche giornalistica, il coraggio di cui parla Di Maio è salutare e più efficace per accogliere i crescenti processi di democratizzazione sul continente.
Articolo pubblicato per il Blog di Beppe Grillo:
Note:
[i]Intervista ad Alessandro Di Battista - Che tempo che fa 20/01/2019 https://www.youtube.com/watch?v=X14lSpRSMMM Alessandro DiBattista fu l’unico che in mesi di discussioni cacofoniche e autistiche sull’immigrazione e la polemica del CFA, ha dato voce ad un rappresentante Africano: Otto Bitjoka, presidente dell'Unione comunità africane d'Italia, che ci svela cinque colpi di stato eseguiti dalla Francia anche per assicurare la permanenza del franco CFA sul continente, ultimo quello del 2011 contro uno dei massimi leader democratici, il Presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo, intervista ripresa dal Fatto Quotidino Ruggero Tantulli , Franco Cfa, “Per Macron si può uscire? Chi ci prova viene fatto fuori. Ora si pubblichino accordi di decolonizzazione” 8 Febbraio 2019 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/02/08/franco-cfa-per-macron-si-puo-uscire-chi-ci-prova-viene-fatto-fuori-ora-si-pubblichino-accordi-di-decolonizzazione/4932907/
[ii] Nicoletta Fagiolo, Africa’s Colonial Vestige, the CFA franc, Discover Society, October 04, 2017. https://discoversociety.org/2017/10/04/viewpoint-africas-colonial-vestige-the-cfa-franc/ e http://www.rfi.fr/afrique/20190327-le-panafricaniste-francais-kemi-seba-expulse-cote-ivoire-vers-le-benin
[iii] Le Comore hanno un accordo di cooperazione monetaria con la Francia simile alla zona franco CFA, ma non vi appartiene.
[iv] Joseph E. Stiglitz in The euro and its Threat to the Future of Europe, Penguin, 2017. Preface p 33
[v] L'indice di sviluppo umano (ISU), in inglese: HDI-Human Development Index, usa tre criteri: PIL pro capite, l’aspettativa di vita alla nascita e livello di istruzione per misurare la qualità della vita.
[vi] Luigi DiMaio in Bisogna decolonizzare l'Africa' 'Se ne occupi anche l'Ue. Abbiamo acceso il faro su una verità' ANSA, 21 gennaio 2019.
[vii] Sul Sole 24 ore Sorrentino in “La moneta CFA non penalizza lo sviluppo economico Africano” si limita a citare un unico indicatore per misurare il benessere dell’area CFA: la crescita. L’autore comunque fra partentesi scrive, cito: “ ( a rigore, però, i tassi di crescita andrebbero valutati e confrontati anche in relazione al livello di sviluppo economico)”. Curiosa l’uso della parentesi.
[viii] Marital Ze Belinga, Sortir l’Afrique de la servitude monétaire, La dispute, Paris, 2016. p 195
[ix] Massimo Amato qui https://financecue.it/franco-cfa-lanalisi-del-professor-amato/13322/
[x] Bruno Charbonneau, France and the New Imperialism: Security Policy in Sub-Saharan Africa, Routledge, 2008.
[xi] Franc CFA: Kako Nubukpo répond au président Ouattara, Eco d’ici eco d’ailleurs par Jean-Pierre Boris, RFI, 2 marzo 2019. http://www.rfi.fr/emission/20190302-afrique-nubukpo-kako-economiste-franc-cfa-ouattara-president-ivoirien
[xii] Harcourt Fuller, From Cowries to Coins: Money and Colonialism in the Gold Coast and British West Africa in the Early 20th Century, Georgia State University, 2009.
[xiii] Iroko, A. Félix cit in Mahir Saul, Money in Colonial Transition: Cowries and Francs in West Africa, American Anthropologist, 106(1):71–84 2004
[xiv] Fanny Pigeaud e Ndongo Samba Sylla, L’arme invisible de la francafrique, une histoire du fanc CFA, La Découverte, 2018. p 15-16
[xv] Fanny Pigeaud e Ndongo Samba Sylla, op. cit. p 161
[xvi] J. Stigliz, op cit.
[xvii] Franck Ouattara e George M. Lady, Pegged currencies, catalyzer or hindrance to economic development in poor nations: The West African example of the CFA Franc, Temple University, 2017.
[xviii] Martin Hallet, The role of the euro in Sub-Sarahan Africa and in the CFA franc zone, European Commission, Economic Papers EMU research, November 2008.
[xix] Fanny Pigeaud e Ndongo Sylla, op. cit, p. 173
[xx] I vincoli fiscali imposti come parte del criterio di convergenza in seno all’Unione Europe - i limiti sui deficit e il debito relativi al PIL – sono simili a quelli in uso nell’area CFA nonostante le economie divergenti.
[xxi] Françoise Proust, L'histoire à contretemps, Paris, Hachette, 1994. p 169
[xxii] Nicoletta Fagiolo, Il caso Laurent Gbagbo e il diritto alla differenza, RESET, 16 gennaio 2013. https://www.reset.it/reset-doc/il-caso-laurent-gbagbo-e-il-diritto-alla-differenza e un sito di video testimoniaize e articoli sulla crisi Ivoriana https://www.free-simone-and-laurent-gbagbo.com
[xxiii] Laurent Gbagbo, Réflections sur la conférence de Brazzaville, Editions Clé , Yaoundé, 1978.
[xxiv] Intervista a Kako Nubukpo , RFI, 2 marzo 2019 citata in alto.